#tolktolk

Conversazioni tra professionisti

#tolktolk aperitivo. La felicità influisce sulla produttività di un’azienda?

Con Marco Sacchelli, l’autore del progetto Happiness On The Road, parliamo di felicità in azienda e come stia prendendo sempre più piede in Italia.

video integrale della serata del 9 maggio

 

“Sono state le persone, gente vera con la carne penzoloni sotto il collo, i tic nervosi e scattanti, gli accenti strani, i profumi eccessivi, gli occhi strabici, la schiena gobba o troppo dritta, a raccontarmi la felicità”.

Marco Sacchelli

Sacchelli oltre ad essere psicologo è l’ideatore del progetto Happiness On The Road, una libreria itinerante che promuove i libri e felicità. Abbiamo affrontato  questo nell'ambito lavorativo.

Un ambiente organizzativo che promuova un atteggiamento equilibrato dell’individuo, nei confronti sia degli accadimenti positivi che delle difficoltà, attribuisce all’azienda maggiori capacità di affrontare meglio la complessità, può essere più flessibile, più innovativa, e capace di un migliore rapporto con i suoi clienti.

Creare un ambiente favorevole in un’azienda significa creare un circolo virtuoso: se i collaboratori lavorano bene, producono di più, si crea un clima di fiducia, aumenta il senso di appartenenza all’azienda, gli stessi clienti sono soddisfatti dei servizi e più ben disposti.

Secondo la classifica “Best Workplaces” le aziende italiane in cui le persone sono maggiormente felici, sono anche quelle che in questi ultimi anni (2009 – 2016) hanno visto una crescita significativa dei propri volumi (+10,86%), rispetto ai ritmi asfittici dell’economia nazionale (-2,41% dati Great Place To Work® Italia).

 

L'intervista a Marco Sacchelli da leggere fino in fondo per il grande insegnamento che questo giovane ragazzo ci regala.

Come convincere l’imprenditore medio italiano che è abituato al concetto“piùl avori più produci!” anziché “più stai bene più produci” che il dipendente che sta bene può solo essere un valore aggiunto all’azienda?

È sempre difficile convincere qualcuno che è ancorato a pensieri di questo tipo, spesso provenienti da un forte retaggio culturale. Credo che l’unico vero modo per “convincere” sia mostrare i benefici pratici che questo approccio basato sul benessere dei dipendenti porta. Portare gli studi scientifici compiuti nell’ambito dell’intelligenza emotiva applicata alle vendite, alla stretta relazione che esiste tra benessere e produttività. L’esempio è il metodo migliore per innescare un cambiamento di mentalità che sarà sicuramente lento e faticoso ma non tarderà a far vedere i suoi benefici risultati. 

In più, si potrebbe portare qualche dato scientifico, dato che, come si dice, le parole le porta via il vento. Il benessere in azienda aumenta la creatività del 300%, la produttività del 31%, le vendite del 37 %. Diminuisce il burnout, le malattie e gli incidenti sul lavoro. Direi che come inizio non è male

Se tu dovessi pensare ad un programma dedicato al benessere in azienda come lo costruiresti?

Ogni azienda è un mondo a sé, con sue caratteristiche precise e uniche. Il primo passo, quindi, sarebbe conoscere l’azienda nei suoi diversi aspetti, ad esempio sapere se gli stipendi vengono regolarmente pagati, se vengono garantiti i diritti dei lavoratori ecc. Perché è inutile improntare un processo di cambiamento verso la felicità aziendale se poi i dipendenti non hanno garanzia di poter guadagnare per il lavoro svolto. 

Se l’obbiettivo, poi, è quello di accrescere il benessere in azienda, bisogna rivolgersi alla colonna vertebrale: i dipendenti. Parlare con loro, creare un’ora settimanale di dialogo e confronto tra di di loro, gestito da un professionista, in cui si evidenzino i loro bisogni, desideri e possibilità di attuazione. Puntare, quindi, su attività rivolte al miglioramento delle relazioni; attività di yoga e meditazione per la gestione dello stress. Per quel che riguarda la relazione col capo, bisognerebbe evidenziare l’importanza del feedeback che spesso è manchevole, creare orari flessibili (dove si può) dando le giuste responsabilità ad ogni persona scongiurando quella sensazione di sentirsi solo un pezzo di un ingranaggio. Un elemento importante, infatti, è quello di far sentire ogni lavoratore come persona necessaria, avvicinandolo al prodotto finale. Perché non organizzare settimanalmente incontri brevi tra dipendenti e responsabili dove si chiedono ai primi consigli, idee e spunti? O perché non inventare un format aziendale del tipo: 5 minuti con i manager, dove in quei 5 minuti si può parlare di quello che ci piacerebbe avere in azienda. Uscire mezz’ora prima, poter lavorare i lunedì mattina da casa per poter portare una volta a settimana il figlio all’asilo, installare una biblioteca d’azienda. È banale, ma spesso la felicità aziendale si compone di cose semplici. E, aggiungo: dipende molto dalla creatività di chi è al comando.

Un’azienda può essere felice nonostante il capo?

Può un bambino essere felice nonostante un genitore? Una classe nonostante la maestra? È un tema complesso che si articola su più livelli. Un’azienda è un sistema in cui le componenti in gioco sono molte. È ovvio che l’approccio, la mentalità e il comportamento di un capo influenzino i suoi dipendenti. Più il capo sarà empatico, costruttivo, positivo e disponibile maggiore sarà il benessere e la felicità aziendale. Ed è anche vero il contrario. Un capo ostile, che non valorizza i lavoratori, che pensa esclusivamente in termini di profitto, escludendo la dimensione personale dalla vita lavorativa può creare un ambiente in cui i dipendenti non si sentano a loro agio. Che, nel breve periodo può portare anche a dei risultati, ma che nel lungo creeranno non poche difficoltà (i dipendenti si inizieranno a guardare intorno e cambieranno azienda non appena sarà loro possibile; ci sarà meno creatività, meno disponibilità e via dicendo). Tuttavia, ancor più del capo, in azienda sono fondamentali le relazioni tra dipendenti.

Delle relazioni sane, positive, caratterizzate da disponibilità, ascolto e accoglienza creano un clima all’interno dell’azienda che rafforza i legami stessi e migliora la dimensione invisibile, ma visibilissima in termini anche pratici della felicità. Credo che spesso i manager, capi ecc non sono persone cattive che vogliono il male dei loro dipendenti, ma semplicemente non credono che la felicità in azienda possa essere determinante

Cosa manca a livello di progettazione nelle aziende italiane?

Non credo di avere le competenze per effettuare un’analisi di questo tipo: osservo che, nonostante un certo scetticismo iniziale, sempre più aziende stanno rivolgendo lo sguardo al benessere dei propri dipendenti. Ci sono casi di aziende multinazionali (di cui diffido), ma anche casi di società nazionali che creano spazi di benessere fisico e psicologico, che investono in felicità con ottimi risultati. Probabilmente manca un po’ di cultura inerenti a queste tematiche ma è un’onda che cresce e si amplia sempre di più e che inevitabilmente conquisterà la maggioranza delle aziende negli anni a venire.

Un consiglio per l’imprenditore

Nessuno conosce l’azienda meglio di colui che l’ha creata o che la gestisce da anni con impegno e dedizione. È un ruolo difficile, stressante che comporta rischi e compromissioni di altre aree importanti per la persona. Ma se dovessi dare un consiglio ad un imprenditore sarebbe: ACCOGLI L’ERRORE. 

Che sia un business piccolo o grande, da libero professionista a da grande azienda c’è un compagno che presto o tardi arriverà: l’errore. Ed è qui, credo, che si nasconde la grande differenza tra le aziende e i lavoratori felici e quelli che ancora devono lavorare su questo aspetto. Bisognerebbe iniziare a vedere l’errore non solo come inevitabile ma anche necessario. Spesso lo rifuggiamo, ma l’errore, gli sbagli svelano solo gli aspetti su cui migliorare; ci spinge a riflettere su che tipo di azienda vogliamo: una perfetta che porta i livelli di stress altissimi con problemi a lungo termine o una felice dove l’errore viene in primo luogo accolto, accettato e poi visto come punto da cui ripartire.

In più farei una considerazione di tipo quasi filosofico. È normale che ogni persona corra in una gara personale, che si sfidi e che si senta spinta a crescere ma sarebbe, ogni tanto, anche da chiedersi: cosa vorrei vedere nel mondo? Cosa sto facendo per raggiungere questa visione con il mio lavoro/azienda? Cosa posso fare a partire da domani? 

Bé, un indizio ve lo do io: pensare di più alla felicità. Dei dipendenti, della nostra azienda, della nostra vita.

Foto

su Facebook curate da Roberto Salvatori

Chi è

Marco Sacchelli

Partner della serata

 

#tolktolk è il format ideato dalla giornalista Dora Carapellese, nel quale vengono affrontate tematiche relative alla comunicazione e all’aspetto digitale. Il sottotitolo di #tolktolk è conversazioni tra professionisti perché è un confronto costruttivo, un erogatore di spunti e un modo per fare chiarezza nel vasto e articolato mondo del web. 

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Chi sono

Sono Dora Carapellese, mi occupo di comunicazione, gestisco i rapporti con i media, sono una giornalista e svolgo attività di formazione sui temi legati alla comunicazione.

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